I duri vent’anni di rabbia di Daniele lo portano ad un TSO: nulla più del ricovero può aprirgli gli occhi sulla gravità della sua situazione e sulla fatica dei suoi genitori nel venirgli incontro. Dipendenza da sostanze, insonnia, forti eccessi di rabbia e una sensibilità sovrumana caratterizzano la psiche tormentata di un giovane come tanti che non ha avuto il tempo e il modo di convivere con i suoi problemi. Ma la vera condanna di Daniele è la sua sensibilità: non è in grado di guardare il dolore degli altri senza viverlo attraverso la sua pelle. In un ambiente come un ospedale psichiatrico, che ne è colmo, scoprirà di poter risentire di questo dono tanto quanto farne frutto. Tra le lacrime e la disperazione, Daniele riesce a compiere un percorso di crescita evidente, trovando anche ottimi amici a cui mostrarsi, forse per la prima volta, per quello che è. Ho sempre trovato rari i libri sensibili, sono sempre al limite tra la finzione e l’esagerazione. Questo libro è in equilibrio su sé stesso, autentico, ricco ma non stracolmo, d’impatto ma non da collasso. Nonostante il protagonista viva tutto in maniera tanto amplificata, non viviamo le sue reazioni come esagerate, né i suoi pensieri come folli. Daniele è lì come potrebbe esserlo chiunque di noi, pensa come noi e vive al nostro posto le nostre paure, toccandole con mano e raccontandoci della loro consistenza. Daniele racconta a noi comuni normali quella che è la più forte delle aspirazioni terrestri, la follia. Perché nella continua ricerca di ricchezze, fama, amore e amicizia, l’unica cosa che vogliamo davvero è essere diversi dagli altri. In una quotidianità di ridondanze, analogie, abitudini, preferenze, oggetti immobili e persone statiche, a cosa possiamo aspirare se non al caos, alle eccezioni, alla follia?
Martina Sinanaj — 4 liceo A